Diritto di revoca del consenso alla PMA non legittimo: come si è arrivati fin qui

Diritto di revoca del consenso alla PMA non legittimo

Il diritto di revoca del consenso alla fecondazione assistita da parte dell’uomo non è legittimo perché lede la libertà della donna di decidere se diventare comunque madre (anche in seguito alla separazione dal compagno e indipendentemente dalla sua volontà) e la tutela della dignità dell’embrione, che è comunque considerato vitale in quanto contiene in sé il principio stesso della vita: questa è stata la decisione della Corte Costituzionale, chiamata a fornire la sua sentenza definitiva in merito a questo tema, delicato e complesso, che riguarda la fecondazione assistita.

Perché il diritto di revoca del consenso alla PMA non è legittimo

Diritto di revoca del consenso alla PMA non legittimo

Diritto di revoca del consenso alla PMA non legittimo

La sentenza della Corte era molto attesa, anche perché riguarda molte questioni importanti relative a diritti che concernono la fecondazione assistita in Italia. Dal punto di vista astratto, la questione fa riferimento ai diritti: da un lato, il diritto di un uomo che ad un certo punto della propria vita decide di fare marcia indietro e che, per diversi motivi (primo fra tutti la separazione dalla compagna) sceglie di non voler costruire una famiglia e non voler diventare padre; dall’altro lato, però, c’è anche il diritto di una donna che, sebbene sia avvenuta una separazione e nonostante la volontà dell’ex compagno vuole portare avanti il suo progetto di genitorialità e quindi diventare madre; infine, ma non ultimo, il diritto che l’embrione ha di veder conservata la sua dignità di essere vivente in quanto contiene in sé il principio della vita.

La questione fa riferimento nello specifico al caso che ha portato alla sentenza della Corte e che riguardava un uomo e una donna che, nel 2017, per impossibilità di procreare in modo naturale, avevano avviato le procedure per la procreazione medicalmente assistita. Poiché la donna soffriva di una patologia che non rendeva possibile l’impianto immediato dell’embrione (endometriosi) era stato necessario congelarlo temporaneamente: tuttavia, dopo due anni la coppia si era separata e questo aveva reso vano e non più attuale, almeno per l’uomo, il desiderio di diventare genitore. Poiché la donna era comunque decisa a diventare madre, nel 2020, terminate le cure a cui si era sottoposta, si era rivolta nuovamente alla clinica per proseguire con l’impianto dell’embrione.

Sia la clinica che l’ex marito si erano opposti a questa richiesta, che aveva suscitato sdegno e polemiche: da qui, si era reso necessario rinviare la questione alla Corte Costituzionale.

E, dopo diverse analisi della questione, la Corte ha dato ragione alla donna, che a suo tempo aveva deciso di sottoporsi ad una cura così invasiva anche in funzione del consenso dell’ex compagno e che potrebbe avere ripercussioni negative dal punto di vista della sua salute psicofisica.

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